9.10.09

Quello che non capisco...

Riflessioni a valle della bocciatura della Legge Alfano da parte della Corte Costituzionale e delle prime scomposte dichiarazioni di Berlusconi.


Quello che non capisco è: perché la gente dovrebbe essere favorevole al fatto che una persona, già in possesso di un grande potere personale, ottenga per legge di non essere sottoposto alla legge, di fare impunemente ogni genere di azione, anche criminosa, senza essere costretto a risponderne?


Visto che non mi illudo che se si votasse ora, a valle di questa pretesa, l'Armata Berlusconi prenderebbe solenne batosta che francamente merita, allora vorrei, forse per la centesima volta, capire cosa provoca un tale successo elettorale.
Si fa presto a parlare di individualismo, della mancanza totale di senso della società che caratterizza oggi il nostro Paese. Ma qui si è aggiunto un elemento di complessità: in che modo l'individualista passa a riconoscere ad un'altra persona il diritto di uscire dalle regole?


Il principe dei ladri
In pratica, quello che si esprime è il riconoscimento da parte di una larga fetta del Paese del ruolo di principe al nostro premier, in virtù di determinate sue caratteristiche che ne fanno un modello per molti.
Allora, cercando una difficile distanza dallo sdegno che egli suscita al mio spirito di eguaglianza e giustizia sociale, cerco di mettere in luce le sue "specialità", o almeno quelle che un'immagine mediatica sapientemente costruita ha messo in evidenza.

Potenza
Egli appare come un uomo potente.
La sua potenza, prima che politica, è stata economica: dapprima, mediante strumenti misteriosi e non necessariamente leciti, ha costruito un impero edilizio, poi con sorprendente abilità ha rivolto  i suoi interessi soprattutto verso la comunicazione ed i media, approdando infine alla politica.
E' da notare, in particolare, che  l'immagine che insistentemente Berlusconi ha voluto dare della sua carriera è che si è fatto da solo; nonostante l'ampia documentazione che fa di questa affermazione una leggenda o una favoletta, essa è ancora largamente popolare tra la gente.

"Mi sono fatto da solo"
Non voglio addentrarmi per l'ennesima volta sull'inconsistenza di questa asserzione; chi vuole trova in internet tutti gli strumenti per farsi un'idea personale: mi interessa l'immaginario movimentato da questa immagine.

Dunque, ecco un omino basso e pelato, che si vergogna del suo aspetto e della sua età (infatti si fa ritoccare le foto, si sottopone ad operazioni per capelli e pelle, calza scarpe con il rialzo interno e si mette in faccia un chilo di cerone), di cultura modesta e modi semplici (ricordate le gaffes? l'impaccio con l'inglese?), che non con eroismo o genialità ma piuttosto con tenacia, testardaggine e qualche spintarella arriva ai gradi più alti della gloria (immaginando che la gloria possa significare per l'uno la notorietà, per l'altro la ricchezza, per l'altro ancora la condizione d'impunità). Come ho scritto altre volte, è la rivalsa del Mediocre, dell'italianino alla Sordi, alla Totò e Peppino.
Una rivalsa in cui, da mediocri, è bello identificarsi.
Un mediocre che oggi fa battute da osteria con Sarkozy, cucù alla Merkel, e non paga le puttane, (lui no!), ma ospita le escort... perché si sappia quanto è potente anche sessualmente.
Ebbene sì: la rivolta dell'omino ridicolo che, per definizione, per condizione atavica, fa ridere.






Una natura superiore
Ma non c'è solo questo.
Nell'ascesa all'empireo, l'uomo comune sublima la sua natura per arrivare ad un livello superiore.
Allora ci chiediamo: in quale àmbito il nostro eroe ha raggiunto l'eccellenza?
Non in quello della virtù, o in quello della saggezza, o della spiritualità: non è un Einstein, uno Schweitzer, un Ghandi.
Non è neanche uno statista illuminato: un Gorbaciov, un Mandela...
Davvero, la sua eccellenza non è una forma qualsiasi di virtù.

Breve divagazione
Stamattina, nel corso di un'interessantissima intervista trasmessa su Radio3, Umberto Galimberti ha parlato dell'attuale difficoltà della psicanalisi classica a intervenire efficacemente sulle ferite della psiche, a fronte di una società che non è più quella della disciplina ma è divenuta della prestazione.
Ovunque si sente parlare di meritocrazia, il lavoro e la produzione sono le cose più importanti nella vita, al punto che è un gravissimo e diffuso problema l'influenza della precarietà del lavoro sulla salute mentale della gente (si veda ad esempio la catena di suicidi a France Telecom). Perfino le neo-madri (anche nell'amministrazione pubblica) sentono che il loro precipuo dovere non è porgere il seno al loro frugolo, ma rientrare al più presto al lavoro.
Secondo Galimberti, non vi è più un senso di colpa da cui liberarsi, ma piuttosto un senso d'inadeguatezza.

E allora?
Mi sembra una chiave di lettura interessante per il problema che mi ero posto.
L'eccellenza di Berlusconi non è nella virtù, bensì nella riuscita.
Egli si pone come il modello di una felice soluzione dell'ansia da prestazione: un men-che-mediocre (del quale una buona parte della gente si può sentire più piacevole esteticamente o più prestante o più giovane) che ha scalato le vette della performance ed è diventato un semidio.
Sono tanti coloro che gli riconoscono questa condizione semidivina e lo venerano, letteralmente.
A lui, ogni cosa è dovuta: anche l'impunità.
Chi è il mortale che osa giudicarlo?

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C'è una sinistra che lo venera anche se gli si contrappone.
C'è un'opposizione che vorrebbe essere divinizzata anch'essa.
C'è un Paese che anche se non è d'accordo è abituato ad adorare i vitelli d'oro che gli sono messi dinanzi.


Ma chi lo guarda senza gli occhiali di Tommy, non vede che un pagliaccio che vive del potere che gli si dà.
Un re nudo.
Vi lascio con il pezzo grandioso di Sharp Shard.
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