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5.11.09

Intorno al crocifisso

Leggendo ieri mattina le reazioni alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che determina che i simboli religiosi esposti nelle aule scolastiche costituiscono "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni" e una violazione alla "libertà di religione degli alunni", prendo atto con stupore (eufemismo molto usato in questi casi), dolore ed indignazione che i soli esponenti politici a plaudere alla sentenza sono stati gli esponenti di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, che oggi sono fuori dal Parlamento italiano, e Vincenzo Vita, voce solitaria nel PD.
Vorrei fare alcune considerazioni su due piani: uno politico e giuridico, l'altro, per così dire, confessionale.





Recita l'articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana[...]
Non credo di forzare il testo costituzionale, se vi ravvedo l'intento di mettere tutti i cittadini, nei limiti delle possibilità pratiche, nelle stesse identiche condizioni nel corpo della società, a prescindere da distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, come recita lo stesso articolo 3.


Ovviamente, non mi attendo la difesa di questi princìpi da parte delle forze politiche portatrici di idee discriminatorie, numerose all'interno dello schieramento attualmente al timone del Paese; me lo aspetterei da altre formazioni politiche, nella sinistra e tra i sindacati, che si battono per la pari dignità sociale delle donne rispetto agli uomini, di gay, lesbiche e trans rispetto agli eterosessuali, dei malati rispetto ai sani, delle coppie di fatto rispetto a quelle sposate...
Ma sarebbe stata possibile un'uguaglianza riconosciuta (ancorché non raggiunta completamente) per le donne, se non ci fossero stato il movimento femminista? Ci sarebbe stato uno Statuto dei Lavoratori senza le lotte sindacali?
Voglio dire: avrebbero potuto i soli “maschi” riconoscere l'uguaglianza delle donne senza ascoltare quel che le donne avevano da dire? E i soli padroni avrebbero forse dato voce alle istanze dei lavoratori nel loro Statuto, se questi ultimi non avessero alzato la voce?
Se auspichiamo che tutti siano uguali, dobbiamo andare a chiedere a chi è in svantaggio di cosa ha bisogno.
Nel caso del crocifisso in classe, abbiamo domandato il parere delle comunità di altre religioni? Abbiamo consultato i genitori degli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica?




Tra le varie stupidaggini sentite in questi giorni [secondo me, in gran parte sintomo più d'ignoranza che di malafede], possiamo evidenziare la visione del crocifisso come “un'antica tradizione” (Bersani), “il simbolo della nostra identità” (Cota, Gelmini, Casini), “segno culturale... patrimonio storico del popolo italiano” (i vescovi, Pasquali del PdL), “simbolo del sacrificio per la promozione umana che viene riconosciuto anche per i non credenti... la nostra identità e le nostre radici” (Sacconi), “simbolo d’amore” (Letizia Moratti), espressione di “valori di laica libertà” (Maria Rita Munizzi dell'omofobico MOvimento Italiano Genitori); la sentenza “offende i sentimenti dei popoli europei nati dal cristianesimo” (Zaia) ed è “un colpo mortale all’Europa dei valori e dei diritti” (Frattini).
A proposito di ignoranza e malafede, il quotidiano Il Tempo titola: "C'era anche l'italiano Gustavo Zagrebelsky, ex componente del Csm, tra i sette giudici di Strasburgo che vorrebbero far staccare il crocifisso dalle nostre aule scolastiche". Peccato che Gustavo Z., ex membro della Corte Costituzionale e del CSM, oggi molto impegnato nella lotta per la laicità in Italia, non sia che il fratello di Vladimiro Z., componente della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Quando il diavolo ci mette lo zampino...


Per fare un po' di pulizia e chiarezza, diciamo subito che il crocifisso in questione è un simbolo religioso. Chi non lo ammette o è in malafede oppure fa parte di quella gran parte di cattolici non praticanti che sono avvezzi a subire passivamente ed acriticamente la pervasiva presenza del cattolicesimo in tutti gli ambiti della vita civile, a quella massa di persone che non credono ma mandano i figli a catechismo e vanno a messa a Pasqua e Natale.
Come simbolo religioso, non è biblico, in quanto contravviene alle prescrizioni iconoclaste presenti nelle scritture, a cominciare dal Decalogo (Esodo 20:4-5), dunque non si può dire neppure cristiano in senso ampio.


La gran parte delle opinioni che ho trovato e vi ho qui sopra riassunto insistono sul crocifisso come simbolo di valori culturali (d'amore, di libertà, di sacrificio per la promozione umana) o tradizionali (delle nostre radici, della nostra identità).
Innanzitutto, si può affermare che i valori di “amore, libertà e sacrificio per la promozione umana” siano stati universalmente garantiti dal simbolo della croce? Abbiamo già dimenticato la croce effigiata sui paramenti e sulle armi dei Crociati? [Proprio così, un simbolo d'amore sulle armi!] Quella croce in nome della quale si sono sterminati milioni di nativi americani, ebrei, eretici, liberi pensatori...
Perché possa essere un simbolo di valori fondanti dell'umanità, dovrebbe innanzitutto essere un simbolo comune a tutti.


Inoltre, il cattolicesimo ha indubbiamente partecipato a formare l'identità culturale dell'Italia attuale, tuttavia sarebbe riduttivo ritenerlo l'unica componente. Innanzitutto, con buona pace di Zaia, non siamo cristiani da sempre, ma solo da quando l'imperatore Teodosio impose il cristianesimo a tutti i sudditi di Roma.
L'identità profonda determinata dalle credenze precristiane fu assorbita nel Cristianesimo, che adattò le sue festività principali al calendario preesistente ed introdusse molti rituali pagani nella sua liturgia.
Non meno fondante fu l'influsso del pensiero filosofico greco, sul quale si modellò il pensiero di Roma. Sappiamo anche quanto deve il cristianesimo a questa tradizione, prima attraverso l'apostolo Paolo, poi nelle modalità della diffusione della Chiesa in Occidente.
Vogliamo poi dimenticare l'Umanesimo? E l'Illuminismo (che qualche alto prelato ha avuto il coraggio di definire bieco)?
Allora, perché esporre il crocifisso e non la lupa capitolina?


Scrive bene Maurizio, un lettore del Corriere del Veneto:


[…] Fatto il catechismo, cresima e tutto il rituale (obbligatorio per ogni bambino) ho iniziato a ragionare con la mia testa[...]. Leggendo, ho poi saputo che l'Italia è un paese laico, che l'illuminismo ha segnato la nostra cultura e che ci impedisce di far sì che un peccato sia illegale, che tradizioni possono essere superate e rimangono solo se la gente le tiene a cuore, non se una legge lo impone! Così uno stato che si considera laico, nei luoghi dove esercita le sue funzioni, non può permettersi di imporre simboli non dello stato ai propri cittadini. Se molti non sono d'accordo, si mobilitino per una riforma costituzionale che renda l'Italia una repubblica cattolica, al pari dell'Iran, per fare un esempio.

E' corretto, dunque, imporre ai nostri bambini un simbolo così parziale che vale per alcuni e non per altri, che ha valore e significati diversi per gli uni e per gli altri? E' giusto, ad esempio, imporlo a chi ha avuto i propri antenati massacrati o perseguitati nel suo nome? E' rispettoso dell'intento del testo costituzionale?




Infine, la considerazione per così dire “confessionale” che ho annunciato all'inizio: quale bisogno c'è di simboli religiosi all'interno delle aule scolastiche?
Cerco di spiegarmi meglio: il cattolicesimo si impegna in una colonizzazione culturale dei luoghi della vita civile, ma a cosa serve? Non basta alla Chiesa di Roma l'autorità sulla massa dei suoi fedeli? Cosa le manca? Cosa le sfugge?

Non sarà che questa necessità di manifestarsi in una presenza materiale nasconda un sostanziale vuoto nella presenza invisibile di fede, di valori, di morale?
Come è successo che il crocifisso, da simbolo religioso, è sceso per i fedeli cattolici e perfino per i loro alti prelati al rango di segno culturale e patrimonio storico?
Non avrà ragione E. S., quando sostiene che la Chiesa Cattolica ha la responsabilità storica dell'impoverimento della spiritualità in Italia?

:)(:

18.5.09

Cometa e gli atei

Una buona parte dei o delle blogger con cui dialogo si definiscono atei.
Spesso mi sorprendo per le affinità di vedute con loro, nonostante dentro di me mi senta quasi uno spiritualista, lontano anni luce da una visione razionalista del mondo.



Quello che non posso condividere è l'assunto, a cui si rifanno riduttivamente molti atei "radicali", secondo cui si può affermare solamente ciò che è sperimentabile coi 5 sensi principali ed elaborato attraverso la logica; una posizione ben rappresentata dalla celebre battuta di Gagarin nello spazio: "Non vedo nessun dio quassù."

A mio parere, non ci sarebbe alcun bisogno di stabilire una teoria per escludere lo spirituale. La conseguenza di questo principio è una rete con un sacco di smagliature: l'ateo, se posso generalizzare, ha spesso un grande rispetto per il "fattore umano", per tutto ciò che determina la specificità umana, e quindi anche per un'ampia serie di manifestazioni dell'animo o dell'intuito (la poesia, l'arte, il sentimento, la vita psichica) che sono fatti più della materia dello spirito che di quella del fegato.
Facendo di ogni erba un fascio, in genere trovo più rispetto delle diversità tra coloro che si dicono atei, che tra quelli che si definiscono "credenti".

Quello che manca alla sensibilità umana e democratica degli atei, generalmente, è il rispetto per la religiosità o la vita spirituale del singolo.
Ho subito spesso l'irrisione di chi mi accusava di credere in superstizioni o fantasmi, senza rendersi conto di quanta parte delle facoltà umane  siano implicate in attività altrettanto simboliche, quali la poesia o la filosofia.


E poi, rovescio la medaglia: l'ateo ha per definizione un forte senso laico dello stato. Ma qual è il genere di laicismo di chi non professa alcuna religione? Il suo laicismo spesso è dogmatico, non è passato attraverso alcuna riflessione, alcun dibattito, perché lo ritiene superfluo. Tuttavia, non può capire i pericoli di uno stato confessionale chi considera con lo stesso disprezzo o disinteresse qualsiasi forma religiosa, da quella che si conforma all'etica umana e la completa (per esempio, arricchendola della componente di compassione, oppure con il riconoscimento del principio divino in ogni persona, aspetti presenti in varie confessioni e filosofie) a quella sbandierata o imposta col solo scopo di farne uno strumento di controllo delle coscienze.
Non faccio alcun esempio: a ciascuno lascio la possibilità di avvicinare le mie considerazioni alle situazioni reali nella Storia e nell'attualità.

In questo atteggiamento che ho appena descritto percepisco una forma di dogmatismo. Parrebbe un paradosso, ma non lo è: lo dico serissimamente.
Esempio: ricordate i bus con la pubblicità dell'UAAR, quelli con la scritta "LA CATTIVA NOTIZIA E' CHE DIO NON ESISTE"? Quale differenza (e non solo di forma) col modello inglese a cui si sono ispirati: "THERE'S PROBABLY NO GOD"! La mancanza di quel probably non è solo meno polite, ma rispecchia un modo di ragionare che trancia, senza sfumature, senza discussione.

In questa forma dogmatica, io vedo una reminiscenza degli effetti nefasti dell'educazione cattolica che tutti gli italiani (ahimè, anche i non cattolici) hanno ricevuto e subito.
In mancanza di un argine quale la rivoluzione francese, che ha prodotto il modello di citoyen  (cioè il livello di condivisione sociale comune a tutti, a prescindere dalla provenienza etnica, religiosa o politica), la struttura gerarchica autoritaria del cattolicesimo romano, con a capo nientemeno che un personaggio infallibile a prescindere da quello che dice (salvo venire contraddetto dal suo successore) ha penetrato profondamente la cultura italiana, vi si è diffusa capillarmente, ha innervato il carattere della società, favorendone gli aspetti di passività, di unanimismo, di esclusione del diverso.
Aspetti che immediatamente rivelano il carattere non evangelico del sistema cattolico, dal momento che sono in palese contrasto con l'imitazione di Gesù, per come è ritratto nei libri canonici ed in quelli apocrifi (militante, sovvertitore, stimolatore del percorso individuale, fortemente egualitario, anzi sbilanciato verso i reietti, i deviati, le donne, gli stranieri); l'autorità papale si configura come un riferimento non spirituale, ma morale, e quindi fortemente conservatore, anacronistico e censorio.

E allora? Allora, secondo me, c'è bisogno di un atto di liberazione personale che vada oltre il solito trito e ritrito anticlericalismo, la minestrina lunga e riscaldata del supposto coraggio dell'ateo di fronte alla morte: coraggio che non può in nessun caso dipendere da una teoria, da una posizione ideologica. Non c'è liberazione dalla religione imposta senza una critica delle radici profonde che hanno determinato ciò che siamo oggi.

Attendo vostre reazioni.
:-)

21.1.09

Benedetto XVI al centro commerciale

Ci sono stati commenti belli e toccanti al mio post precedente su Eluana ed il diritto a morire.


A me, però, in tutto questo, c'è una cosa che mi manda in bestia.
Siamo in un paese cattolico, no? Cioè cristiano. Giusto?

Per cui il rispetto laico per la vita, per gli altri, non si sa dove stia.
Ok.  Più o meno, a questo ci siamo rassegnati.

Ma questi benedetti sedicenti cristiani, a cominciare da quello tutto in bianco con la gonna che sta sempre in tv, e le sue sue fide milizie, non hanno un comandamento più grande ed importante degli altri che recita "ama il tuo prossimo come te stesso"?

Quale amore stanno ora dimostrando per Eluana e per la sua famiglia?
Quale amore dimostrano per la società, per le persone, per i sofferenti, per gli "assetati di giustizia"?

Come possono dei veri cristiani rispettare un capo morale/spirituale che esclude sistematicamente l'amore e la comprensione dai suoi proclami?
Se esistono veri cristiani in questo paese, (compresi i vari frati, suore, sacerdoti, Zanotelli, comunità di base e di altezza, scout, baciapile, genitori che fanno battezzare comunicare cresimare i figli) questi veri cristiani, dicevo, dovrebbero ora essere per strada, a dire che Eluana deve essere lasciata tranquilla, che tutte le persone sono uguali e degne d'amore, e che il Vaticano deve vendere tutti i suoi beni e darli ai poveri.
Se ci credono.
Altrimenti, basta con le menate sul Cristianesimo.
Basta! Almeno, cari sedicenti cristiani, abbiate il coraggio di togliervi questa maschera impudica, dietro la quale si sono commesse le peggio nefandezze: dai furti alle guerre, dalle scomuniche alle sentenze senza processo, dalle violenze pubbliche a quelle private, in totale impunità.


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27.10.08

Culti ammessi

C'è una cosa molto grave che sta avvenendo nel nostro Paese.
Una situazione che avvicina pericolosamente il sentire comune di oggi (impropriamente detto "buon senso") e la deriva più atroce, liberticida e discriminatoria del fascismo.

In molte città, soprattutto nel norditalia, le amministrazioni comunali escogitano penosi espedienti per impedire la libera associazione per preghiera o attività comunitarie degli immigrati di religione islamica.
Ciò che trovo preoccupante è il fatto che a queste situazioni si oppone un atteggiamento (tanto da parte della gente comune che di componenti del clero cattolico e di politici di centrosinistra) che si vorrebbe liberale: noi siamo favorevoli a forme di culto di qualsiasi religione, a patto che le "altre" religioni rispettino le nostre regole.

Abbiamo qui un primo punto: differenza sostanziale di trattamento tra cattolici ed altre religioni.

Quali sono queste "regole"? Semplificando molto, direi rinuncia a radicalismo o fondamentalismo, rinuncia al proselitismo, rinuncia ad attività politiche.
Questo, secondo molti, faciliterebbe l'integrazione di queste persone nella nostra società.
In altri termini: i "diversi" dovrebbero essere non troppo diversi, non troppo visibili, non troppo critici... per il loro bene.
Da qui ad ipotizzare la possibilità di un controllo di ordine pubblico degli altri culti il passo è breve.

Tra le leggi razziali emanate dal governo Mussolini, trova posto anche la famigerata legge sui culti ammessi (24 giugno 1929, n. 1159). La formula "culti ammessi", che fin dal codice penale Zanardelli del 1889 aveva designato onnicomprensivamente tutti i culti, cattolico compreso, veniva ora riferita esclusivamente alle confessioni di minoranza. Essa portò una serie di gravi restrizioni alla libertà dei culti e diede avvio un periodo di sempre crescente ostilità verso le minoranze religiose. La libertà di discussione in materia religiosa era limitata dalla spada di Damocle del divieto di propaganda religiosa; i culti venivano ammessi a condizione di non professare "princìpi contrari all’ordine pubblico o al buon costume", e la concreta verifica di ciò si traduceva necessariamente in un controllo statale sui princìpi religiosi professati; era normale, per esempio, la presenza dell'ispettore prefettizio durante lo svolgimento delle riunioni di culto. (per una trattazione più approfondita, consiglio questa pagina tratta da un ampio testo di Antonio Zappino)

A me pare che tanta liberalità di oggi assomigli pericolosamente alla logica che ha ispirato la mussoliniana legge sui culti ammessi.
Chi parla di integrazione nella nostra società sta di fatto dicendo che sono gli altri che devono spogliarsi della loro individualità, che devono disintegrarsi per entrare per la porta stretta di casa nostra. Cioè l'esatto contrario del senso del lemma società: l'unione di soci, di eguali, impegnati in un'impresa comune.