Il giovane assassinato a Verona nel ricordo del suo amico del cuore. Che denuncia il clima nella città scaligera: silenzio, ipocrisia, caccia al diverso.
Tutti, talvolta anche le persone più care, mi hanno sempre ascoltato increduli e dubbiosi quando raccontavo loro il disagio, la tensione, la nevrosi, la rabbia e la violenza che leggevo nei volti di chi sfilava per le vie del centro di Verona.
Quando la sera del primo maggio mi sono trovato a dire, con orrore, «doveva scapparci il morto», mi sono anche reso conto di cosa significhi annullare quella distanza tra te e il dolore, tra te e la «vittima»: quel morto era Nicola Tommasoli. Sì, il «nostro» Nicola; lui che, insieme alla sua famiglia, mi ha accompagnato per ben 15 anni di vita, dalle serate più serene alle nottate più assurde nei rifugi delle Dolomiti.
E apprendere, oggi, nel 2008, che un amico di una tranquillità e spontaneità – e lo dico senza retorica – memorabili, è stato massacrato da un gruppo di neofascisti veronesi che lo hanno colpito ancora e ancora a scarpate sulla testa mentre era per terra indifeso, non trova una giustificazione. Nazisti che tutti accanto a me in questa città accettano nel silenzio dell’ipocrisia, perché al servizio della «Verona bene», della «Verona della moda» della Verona delle ordinanze contro i rom e pro «buon costume»; ragazzi di diciotto anni, il cui vanto è la «normalità» (Liberi, belli e ribelli il loro motto). È da tempo che si vive questo clima di caccia al diverso, questa necessità di un «capro espiatorio», ma mi chiedo perché, per uscire questa verità doveva morire Nicola.
Questo mi chiedo. Tutti devono sapere che tra i tre amici la vittima è stata lui solo perché aveva il codino e «vestiva da sinistra»… e Nicola, lo sanno tutti quelli che lo conoscono, non ha mai vestito in modo da essere di sinistra. Lui ai vestiti non ci dava quel peso ossessivo che ci danno i nevrotici veronesi. Quella sera dunque, in via Leoni, per un puro caso non sono passato io al posto suo. Per un trama assurda del destino. Allora io mi dico, mi convinco di essere qui a testimoniare.
È così che muore parte di me, con Nicola, che aveva soli 29 anni: ma io grido, ancora e ancora, che chi sapeva e ha permesso, chi ha assecondato con “ma” e “comunque”, chiunque abbia sminuito o fomentato in questa città l’odio per ogni diversità, si deve considerare un assassino!
Si nasconde il niente, il nulla davanti e dietro questa azione: un senso non può esistere. Ma la morte di Nicola invece è reale. Reale come le parole che non riesco a dire ai genitori: ad una famiglia libera veramente, da credo politici quanto religiosi, che dimostra la sua generosità e grandezza ben oltre la vita del figlio.
Federico Premi