15.9.08

A Verona come a Genova

Una lettera di Fiorenzo Fasoli (di Rifondazione Comunista), che ha visitato in carcere i Rom arrestati a Bussolengo (VR) di cui avevo parlato qui.


Verona, 12 settembre 2008

Oggi pomeriggio ho accompagnato il consigliere regionale di RC Pietrangelo Pettenò nella visita al carcere di Montorio. La visita era motivata dal fatto di andare a verificare le condizioni delle tre persone arrestate, due uomini ed una donna, dopo i fatti accaduti qualche giorno fa a Bussolengo.
La notizia è stata riportata sulla prima pagina di Liberazione e ne avevano parlato anche i giornali locali, ma sentire le testimonianze dirette, vi assicuro, è stato di un impatto incredibile.
Ecco la loro versione dei fatti.
Una famiglia di Sinti, in trasferimento da Brescia e diretta a Trieste, si ferma in una piazzola di Bussolengo. Questa viene raggiunta da un’altra famiglia, proveniente da Affi, ed intenzionata a cogliere l’occasione per incontrare un figlio.
Visto che ormai era mezzogiorno, dopo aver fatto la spesa, il piccolo gruppo si accinge a consumare un piccolo pasto a base di panini imbottiti.
Subito arrivano i vigili che intimano loro di andarsene.
Poco dopo giungono i carabinieri della stazione di Bussolengo che, senza attendere molto, passano dalle parole ai fatti.
E così comincia l’odissea.
Senza tanti preamboli al piccolo gruppo viene intimato di lasciare subito libera l’area e, senza attendere la risposta dei malcapitati, questi vengono investiti da insulti, offese, schiaffi fino a venire portati in caserma.
Qui inizia un vero e proprio pestaggio, con calci, pugni e sputi a cui vengono sottoposti non solo gli adulti, ma anche i loro figli minori. Ad un ragazzo di 12 anni vengono rotti due denti.
Il maresciallo ricorda che, se potesse, farebbe anche lui come Hitler.
La cosa va avanti per un bel po’, poi il gruppo viene portato a Peschiera per le impronte digitali e le fotografie di rito. Un bambino, oltre alle dita, è costretto a passare sul tampone delle impronte anche la faccia, mentre l’aggressione si ripete prima durante e dopo il trasferimento a Peschiera. Alla fine, due adulti e la moglie di uno di questi, sono rinchiusi nelle celle di sicurezza di Bussolengo.
Ed il pestaggio continua.
Verso sera, il marito della signora, si sente male e chiede di essere ricoverato all’ospedale.
Nel trasferimento viene minacciato di non proferire parola con alcuno perché altrimenti non avrebbe più rivisto i suoi figli.
Al mattino, i tre vengono portati in tribunale per la convalida del fermo e devono viaggiare con le manette ai polsi, in ginocchio sul pavimento del cellulare e con la faccia rivolta a terra. Prima di salire le scale per l’udienza devono passare davanti ai carabinieri autori delle loro aggressioni che non perdono l’occasione di minacciarli ancora una volta affinché non si lascino sfuggire parola su quanto accaduto.
Alla fine il giudice convalida il fermo.
Il processo si terrà martedì prossimo ed intanto i tre sono rinchiusi a Montorio.
La visita ha permesso di constatare che i segni delle percosse sono ancora molto evidenti sui loro corpi. Le compagne di cella della signora hanno garantito di non aver mai visto una persona ridotta in quelle condizioni.
I tre sono ancora molto scossi per l’accaduto ed il marito della signora oltre ad aver mostrato i segni delle botte prese sia sulla schiena che sulle gambe, ha affermato di essere riuscito ad alzarsi dalla branda solo oggi.
I due uomini sono in una cella con altre due persone. La donna divide la cella con altre due donne.
Ricordo che le celle sarebbero per una, massimo due persone, ma in occasioni come queste anche i disagi dovuti al sovraffollamento diventano secondari.
Tutti sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale e, la donna, anche di tentato furto dell’arma di un carabiniere.
Ho visto tre persone molto miti e non riuscirei ad immaginarmele nè aggressive, né pericolose.
E’ chiaro che, in condizioni del genere, ogni accusa può essere facilmente utilizzata.
Quindi anche Verona ha la sua Genova, la sua caserma Diaz o il suo Bolzaneto.
I racconti sentiti, che per altro combaciano perfettamente sia nella versione degli uomini che in quella della donna, mi hanno riportato al Cile o all’Argentina dei militari.
Non possiamo stare in silenzio.
Dobbiamo reagire.
Sono d’accordo con chi propone di ritrovarci lunedì sera verso le 18 in piazza Erbe per un sit in.
Credo anche che occorra domandare un incontro al Prefetto per richiedere chiarezza sul comportamento dei militari di Bussolengo.
Penso sia necessario garantire una presenza significativa, martedì al processo.