21.2.09

Una particolare concezione della vita

Ritorna, di tanto in tanto, morto vivente, la domanda: quale concezione della vita ha la nostra società? Quale il potere politico?
Il cattolicesimo, che oggi condiziona così fortemente le scelte del governo e del parlamento, tollera la pena capitale (vedi Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, parte III, sez. II, cap. II, 2267) ed al contempo sbandiera la sacralità della vita ogniqualvolta vuole imporre il suo controllo sopra le teste delle persone: aborto,eutanasia, sospensione delle terapie o dell'alimentazione forzata.
[Non si può dire che il famoso "comandamento dell'amore" proclamato da Gesù Cristo sia completamente familiare a questo autorevole consesso.]

Inizio e fine della vita sembrano aver preso tutto lo spazio di dibattito.
Lungi da me discettare sul senso della vita, ma rimane l'evidenza che la vita vissuta, quella compresa tra nascita e morte, non entra oggi negli interessi di legislatori e moralisti.
Non vedo assistenza e aiuto ai neo-genitori in difficoltà, ai ragazzi e alle ragazze, alle persone che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese; anzi: ci si avvia verso uno stato sociale all'americana, cioè inesistente, chi ha i soldi si fa l'assicurazione sanitaria e gli altri si attaccano.


Scriveva Adriano Sofri sulla La Repubblica del 4 gennaio 2009
La bioetica ha a che fare coi progressi spettacolosi della medicina, della biologia, dell' ingegneria genetica, gli inseguimenti trafelati della filosofia e del diritto, e le supervisioni delle chiese. Una sua esemplare dichiarazione è che "la vita umana è sacra e va difesa dal concepimento alla morte". La cito non per ridiscuterla qui, ma per osservare che la nostra fresca sensibilità bioetica si concede il lusso di concentrarsi sui due poli, il concepimento, o almeno la nascita, e la morte, il capo e la coda, riservando un' attenzione minore a quello che sta fra l' inizio e la fine, cioè alla vita nella sua durata, che poi è la vita. Così, benché le innovazioni che la scienza introduce e la filosofia insegue col fiato corto e la religione rilega in pergamena, valgano per tutte le disgrazie che investono l' intermezzo fra nascita e morte - la fame, le malattie, le guerre - ce ne commuoviamo meno. La nostra guerra (di religione) sulla trovata secondo cui la vita è così sacra da essere "indisponibile" alla stessa singola persona vivente sta ai luoghi in cui la vita viene mietuta all' ingrosso, come i nostri botti di Capodanno, adorati da tutti tranne i cani i bambini e chi ha conosciuto una sola notte di guerra, stanno ai bombardamenti su Gaza. Così vicino, oltretutto - due sponde dirimpettaie- che si potevano sentire reciprocamente, e raddoppiare l' allegria degli uni e lo spavento degli altri.
Quella che pone Sofri è anche una questione quantitativa: quanto vale una vita nella striscia di Gaza, rispetto ad una sull'altra sponda del Mediterraneo?

Legittimo chiedersi, giudicando dai testi delle leggi in via di approvazione sui trattamenti sanitari e sull'ordine pubblico: quanto vale la vita di ognuno e ognuna di noi? quanto vale se ci ammaliamo? se siamo stranieri? se perdiamo il lavoro? se incontriamo un poliziotto di cattivo umore?
Quali diritti? Quali garanzie? Quale libertà?

Quello che alcuni chiamano "rispetto per la vita", a me pare piuttosto "disprezzo della vita".

Ancora un volta, vi consiglio la lettura di Marco Cattaneo.

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