27.5.08
Into the wild
Ho visto, in ennesima visione, Into the Wild di Sean Penn.
Spero lo abbiate visto anche voi, perché non farò né una recensione né un'apologia.
Vi racconto giusto qualche suggestione, delle tante che il film ha lasciato dentro di me.
Un ragazzo rifiuta il mondo preconfezionato, il mondo dei genitori. Ha l'ambizione (la tracotanza!) di vivere in un modo proprio, secondo i propri desideri, ritmi, valori, esigenze. Pare una scelta enorme. Contro tutto e tutti. L'Uomo non ne ha forse il diritto?
La nostra cultura fortemente antropocentrica ci dice che l'umano è il solo essere intelligente, che è dotato di suprema libertà, che è ad immagine di Dio, appena meno onnipotente, appena meno eterno...
Questo Uomo ha un solo padrone. Non Dio, non la morte, bensì la società!
Beh, il ragazzo sceglie di scegliere, e ci mette tutta la sua forza, ingenuamente totale, da eroe mitico, o dei cartoni animati. Sembra un essere in precario equilibrio tra le due polarità di un supereroe e di un povero fuscello alla mercé di tutti i venti. Eppure, il suo si delinea come un percorso diritto e coerente, lo spirito prende corpo dalla radicalità, non dal compromesso, dal risparmio di sè....
I genitori del film sono caricaturali. Certo. Ma lo sono anche i miei.
Penn non giudica, non dà ai genitori borghesi tutta la responsabilità, e infatti ci racconta che anche il figlio della dolcissima hippie è partito senza dare più sue notizie. Penn si permette il lusso di avere un moto di pietà e simpatia per i Genitori. Prende atto che non sappiamo comunicare, non sappiamo accettarci. William Hurt, seduto sull'asfalto in un rictus di atroce dolore è una delle scene più belle e commoventi che abbia mai visto sullo schermo. Ma per una settimana ho bloccato la lacrima in gola.
Quando il percorso nella solitudine, all'interno di sé ed in profonda comunione con l'ambiente naturale giunge alla pienezza, il giovane progetta il ritorno alla società, per condividere la sua ricchezza. Rivediamo in rapida sequenza i tanti fili d'amore lasciati sospesi. E' un momento esaltante. Eppure, sembra dirci Penn, non siamo ancora pronti alla libertà totale. Il tentativo di ritorno è un catastrofe, il ragazzo si trova, in un certo modo, intrappolato nel mondo senza padroni, senza legami, senza limitazioni che si era costruito. La scoperta dei propri limiti ultimi era completata, o si torna sui propri passi o il prossimo traguardo è la morte.
Ancora una volta, il regista non suggerisce risposte preconfezionate. Gli elementi sono tutti lì, basta coglierli.
Come Penn, sono convinto che non si può parlare di libertà senza la critica alla società, senza guardare con franchezza il labirinto dei rapporti umani, a partire dalla famiglia, senza trovare sé stessi nel silenzio interiore e nella relazione con l'ambiente naturale e umano, senza occuparsi dello spirito, in una sorta di mistica laica, come direbbe Deleuze.
A chi ha amato questo film, al fratello in questo mondo poco accogliente, consiglio il libro di Denis Johnson, Cronache anarchiche, Alet edizioni, 2004 (titolo originale: Seek: Reports from the Edges of America & Beyond, 2001)